Val Rabbia
La gemma nascosta del Gruppo del Baitone
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Una premessa doverosa; il nome di questa valle non fu attribuito a caso dai cacciatori che nel passato vi si recarono inseguendo le tracce dei camosci sulle prime nevi ottobrine. Né da parte di pastori ed allevatori che costruirono e dimorarono Malga Bompià sita ai piedi di questa vertiginosa valle. Perché il recarvisi senza una significativa dose di pazienza, perseveranza e determinazione significa inevitabilmente finire con l’incazzarsi (*). Qui i sentieri sono ormai un ricordo; la natura ci ha messo del suo con recenti smottamenti e frane che hanno talvolta cancellato interi tratti di percorsi già di per sé non proprio comodi. I dislivelli sono sempre forti e gli avvicinamenti, se non si prevede di articolare una salita in due giorni, divengono ingestibili vista anche la lunghezza media degli itinerari. A meno che non si voglia visitare questo angolo sperduto e tremendamente affascinante del massiccio con il classico fuoco alle natiche. Sarebbe un errore perché avvicinarsi correttamente alla Val Rabbia significa calarsi nei suoi ritmi, nei suoi silenzi, nei suoi spazi luminosi seppur arealmente ristretti, nelle sue bellissime cime la cui varietà colpisce ancora prima delle loro ardite strutture. E’ quasi certo che la presenza di un punto di appoggio diverso dalle spartane Malghe Bompià avrebbe fatto di questa valle una meta molto ambita e frequentata. Di fatto, come accade spesso, la mancanza di un rifugio ha fatto si che la Val Rabbia sia rimasta quella che era secoli or sono; ed è implicito che chi vi si avvicini debba tenere in considerazione le sue caratteristiche veramente singolari. Definirla una valle già di per sé è eccessivo. E’ una ripida fenditura che incide il versante meridionale del sottogruppo del Baitone dividendo la massa rocciosa dalle luciferine tonalità della Catena delle Granate dagli scudi di chiara tonalite della colossale Punta Adami e dei suoi satelliti. Già la varietà geologica, lampante anche ad un profano, è motivo di curiosità ed interesse; sul lato orografico sinistro si succedono i tormentati torrioni e le frastagliate creste di roccia nerastra dalle striature sanguigne di un sottogruppo sempre meno frequentato vista la pessima qualità della roccia che lo caratterizza; di fronte grandi e compattissime placconate recentemente oggetto di una incerta e meritevole riscoperta. E al termine di una sgroppata che da Ponte di Faet in Val Malga necessita di 5 ore che divengono 6 se si parte dalla strada del Monte Colpo e addirittura 8/9 se si ha l’ardire di partire dal fondovalle in quei di Sonico, ci si trova in angolo di stupefacente bellezza; quel Circolo delle Granate già toccato qua e là dalla letteratura specifica del massiccio; altissimo catino quasi chiuso da scoscese pareti scure dove il quasi verticale canale che adduce all’area Forcella delle Granate rappresenta l’unica ed impegnativa via di accesso all’Alta Conca del Baitone in una traversata alpinistica al Rifugio Tonolini che per lunghezza ed impegno, isolamento dei luoghi e fascino, nel massiccio non ha paragoni. Una curiosità etimologica in chiusura. La Catena delle Granate non deve affatto il suo nome a poco probabili reperti della Grande Guerra visto che l’area specifica non fu mai interessata da eventi bellici; bensì dalla presenza di grossi cristalli di ortosilicato di ferro dalla forma ovoidale che si presentano all’esterno con una superficie variamente corrugata di colore generalmente nero o grigio scuro e che una volta appositamente incisi mostrano tutta la loro bellezza interiore fatta di vividi rosseggianti amalgami di cristalli. Un azzeccato emblema di questa valle. (*) ovviamente l’etimologia è diversa! Deriva dal latino rabida (rapida) con riferimento agli impetuosi corsi d’acqua che caratterizzano la valle; rimane valido il consiglio di dotarsi di una buona dose di perseveranza e tranquillità. |