E’ un
dibattito relativamente al quale fiumi di inchiostro sono corsi, tomi alti
spanne sono stati dati alle stampe, tavole rotonde, quadrate e bislunghe
organizzate; consessi ai quali hanno partecipato i più diversi “rappresentanti
della montagna”; ma è indubbio che ad una soluzione, o almeno ad un compromesso,
non si sia ancora giunti. Forse, semplicemente, perché una soluzione non esiste.
O forse perché il problema dell’impossibile equilibrio fra la tutela
dell’ambiente alpino ed il suo “sviluppo” è qualcosa che si inquadra nella più
ampia e complessa tematica della relazione fra uomo e ambiente. Un tema che è
sotto gli occhi di tutti, mediaticamente costantemente esposto vista la sua
tragica attualità.
Detto
questo è con uno spirito necessariamente diverso che i climber del terzo
millennio devono approcciarsi alle interessanti opportunità arrampicatorie
offerte da questo limitato acrocoro. Lo spirito più consono è probabilmente
quello della tolleranza, mediata da un tentativo di comprensione; cosa davvero
difficile per chi ami veramente gli spazi alpini senza potersi confondere con
coloro che abilmente o forse inconsciamente tramutano e confondono tale
pubblicizzato amore con l’affetto nutrito nei confronti della progressiva
pinguedine del proprio conto in banca. Un atteggiamento basato sull’accettazione
dello status quo o della difesa del diritto all’accessibilità agli
ambienti montani anche da parte di coloro che, impossibilitati o svogliati, non
vi si avvicinino passando per il magico filtro della fatica. Quel forse sta a
significare che allo sfruttamento della montagna andrebbe posto sempre e
comunque un limite; un limite diverso da quello degli appetiti speculativi,
teoricamente e praticamente infiniti, di tanti gorettiani cuori affranti e
trafitti per i "grami destini delle genti di montagna"; un limite dato
dall’imprescindibile dovere, ancor prima che dall'inderogabile esigenza, di
tutelare una realtà naturale unica ed irripetibile peraltro basata su equilibri
delicati e di impossibile ricostituzione una volta che ne siano state lese o
recise le radici.
Fatta
questa debita premessa la massacrata conca del moribondo ghiacciaio del Presena
offre alcuni itinerari assolutamente degni di una ripetizione. Le ascensioni più
interessanti vengono però offerte dal selvaggio e fortunatamente (almeno per
ora!) intatto versante Ovest del Castellaccio, quel medesimo versante che fa da
stupendo sfondo alla conca del sempre più grande ed inurbato ‘paesello che fu’
di Ponte di Legno.
Sui
pilastri di questa bella montagna, ammirando un panorama tra i migliori che il
massiccio possa offrire, itinerari moderni si accompagnano ad ascensioni ormai
entrate a far parte del novero delle salite classiche del massiccio. Mentre si
ascende, avvolti nel silenzio e nei refoli del vento, lo sguardo potrà
estendersi alla vasta meravigliosa vallata glaciale del Pisgana che qualche
"valorizzatore" vorrebbe adorna di impianti, piste, ristoranti, bar ed altri
supporti di fruizione ludica; il tutto condito da musica pop a go-go sparata a
tutti decibels da altoparlanti copiosamente distribuiti perché all’arcano
e pericolosamente interiorizzante silenzio della montagna non sia più lasciato
spazio nella civiltà dello scontato, del risaputo, del falsamente accessibile.
Auguriamoci vivamente che il futuro ci risparmi da tutto questo lasciando il
ghiacciaio del Pisgana avvolto nel suo antico e prezioso silenzio!